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HAPPY BIRTHDAY F40 – STORIA DI UN MITO SENZA TEMPO

Novembre 2017

 

“E’un po’un cane lupo, lo si accarezza dolcemente però se gli si fa del male può mordere”               - Michele Alboreto, dicembre 1987 -

Quest’anno la Ferrari ha spento 70 candeline. Fra queste candeline però si nasconde anche un altro anniversario. Il 2017 infatti segna anche le 30 primavere di un modello iconico della produzione Ferrari, la F40 che come suggerisce il nome fu un omaggio ai primi 40 anni della Casa di Maranello, un modello che ha stravolto completamente lo scenario delle supercar dell’epoca. Chiunque ne ha vista una, se non di persona ritratta in qualche poster, in tv, in un magazine o riprodotta in scala. Ad oggi è una delle vetture di riferimento nel panorama delle auto storiche, è ambitissima ed è entrata di prepotenza nell’elitaria cerchia di quelle auto che identificano un marchio. In sintesi, un mito che nacque tale. Era il 1984 e a Maranello mentre si stava godendo appieno del successo della Testarossa gli altri modelli, non più giovanissimi, stavano attraversando una fase di stallo. In Formula 1 spopolavano i turbo violenti ed i propulsori 031 con Alboreto ed Arnoux battagliavano aspramente per avvicinarsi al podio. C’era dunque una forte volontà di affinamento ed i tecnici lavoravano  in modo assiduo e fervente sui due fronti. In casa Ferrari però si era trovato spazio anche per un altro ambizioso progetto: l’ingresso ufficiale nelle gare di Gruppo B. Tale decisione sarebbe stata particolarmente utile per garantire nuovi proventi e per sviluppare soluzioni da trasferire sulle vetture di serie. Il biglietto d’ingresso per questa nuova avventura si chiamava 288 GTO. Realizzata da un team di ingegneri capitanati da Mauro Forghieri che partendo dal telaio della 308 opportunamente modificato realizzarono una sofisticata berlinetta equipaggiata da un biturbo con 8 cilindri a V e con un cambio a 5 rapporti, quest’ultimi progettati dall’ing. Nicola Materazzi già autore del propulsore della Lancia LC2 di cui il 2.855 cc della GTO fu la naturale evoluzione. Venne dunque commercializzata questa estrema due posti, una sorta di 308 anabolizzata che fu di fatto la favolosa capostipite delle Ferrari stradali più estreme di sempre. Prodotta in 272 esemplari avrebbe permesso alla casa di Maranello di rientrare nei requisiti per partecipare alle gare di Gruppo B il cui regolamento imponeva una produzione di almeno 200 pezzi in versione stradale della vettura che si intendeva utilizzare nelle gare. L’anno seguente dunque, sempre sotto la direzione dell’ing. Mauro Forghieri, iniziarono i lavori di estremizzazione per trasformare la 288 GTO stradale in una belva da iscrivere alle competizioni di Gruppo B. Partendo dal motore della GTO Materazzi sviluppò il propulsore F114CK (ne progettò anche un secondo per i rally denominato F114CR) che grazie a mirati interventi portava i 400 cv originari a quota 650 e progettò anche un cambio opzionale ad innesti frontali. La linea della nuova vettura andava necessariamente adeguata alle nuove performance e dall’ufficio tecnico Ferrari sotto la coordinazione di Materazzi fu abbozzata una nuova linea che pur mantenendo la zona centrale della 288 GTO ne sconvolgeva totalmente l’aspetto al fine di assecondare il notevole incremento prestazionale. In seguito il disegno fu inviato alla Pininfarina per ulteriori affinamenti ma la resa aerodinamica non fu al top e ciò avrebbe comportato problemi di autonomia nelle endurance, all’epoca soggette a contingentamento di carburante. Era alle porte però un ostacolo ben più invalidante. In seguito ai catastrofici incidenti accorsi nel Gruppo B, in particolar modo nella categoria rally, i regolamenti subirono drastiche modifiche. Di punto in bianco il coefficiente fra aspirati e turbo venne innalzato da 1,4 a 1,7 per cui la nuova vettura, eccedendo in cilindrata fittizia, era matematicamente fuori dai giochi. La 288 GTO Evoluzione era nata ma non poteva più avere un futuro agonistico. Ne furono realizzati 5 esemplari oltre al prototipo di sviluppo che servirono più che altro per analizzare svariati parametri e per soddisfare alcuni facoltosi clienti. Così mentre le gare di Gruppo B venivano definitivamente abolite la GTO Evoluzione durante i test continuava a sbalordire i tecnici di Maranello; si resero presto conto di aver creato un “Mostro”. Questa situazione non sfuggì ad Enzo Ferrari il quale diede l’incarico al suo collaudatore più fidato di analizzare e testare questo nuovo capolavoro di ingegneria meccanica. Il resoconto fu entusiasmante. Era il 1986, Enzo aveva ormai 88 anni, due anni di duro lavoro e importanti investimenti avevano creato una vettura sensazionale che non poteva certo essere pensionata. L’anno seguente la Ferrari avrebbe festeggiato i suoi primi 40 anni e ad Enzo venne il fortissimo ed irrefrenabile desiderio di chiudere la sua epoca lasciando un’impronta ancor più gloriosa e sorprendente con una vettura sbalorditiva che avrebbe spiazzato la concorrenza e che fosse stata in grado di imporre nuovi traguardi nell’universo delle sportive di razza. Un puzzle complesso e ostacolato stava finalmente per essere completato. Ed in maniera trionfale. Il Drake convocò subito i responsabili di sviluppo e produzione ma l’ipotesi di realizzare una nuova vettura, considerando i progetti in corso, non era fattibile. Ovviamente Enzo non si arrese e si consultò direttamente con l’ing. Materazzi e gli propose di trasformare la GTO Evoluzione in una vettura stradale in grado di surclassare prestazionalmente tutte le sportive sulla piazza. Materazzi accettò l’ardua  sfida alla condizione che nessun’altra persona avrebbe interferito nel progetto. Enzo lo appoggiò pienamente e così in fretta e furia Materazzi formò la propria squadra per realizzare la nuova vettura. Il team appena nato lavorava unicamente in orari straordinari in quanto i tecnici reclutati erano già impegnati a tempo pieno nello sviluppo di altri modelli. Quindi  in un baleno in Ferrari oltre allo staff delle stradali e quello delle vetture da competizione nacque una terza equipe temporanea che realizzerà la nuova Ferrari F40. La vettura dell’anniversario, la vettura dei record, la stradale più potente che si fosse mai realizzata a Maranello. La macchina c’era già ma andava “ammansita” per un uso stradale che garantisse una buona affidabilità e riuscisse a superare i test di omologazione. Così il V8 venne “addolcito” nell’erogazione ed opportunamente depotenziato lavorando prevalentemente sui due turbo e sulla cilindrata che salì a quota 2936 cc. Lo staff di Materazzi fece man bassa di tutta la più avanzata tecnologia che all’epoca era disponibile a Maranello comprese molte soluzioni utilizzate in F1. Kevlar, fibra di vetro e materiali di derivazione aeronautica vennero impiegati su svariati componenti  fra cui la carrozzeria, il bacino dell’abitacolo ed il telaio tubolare. Le rinforzate sospensioni indipendenti e i freni da monoposto di F1 completavano un quadro tecnico mai visto prima. Tutto era stato sviluppato con una funzione precisa che potesse giovare unicamente alla riduzione del peso e di conseguenza alla prestazione pura. Si era ormai entrati nell’olimpo della raffinatezza tecnica, il massimo che l’epoca potesse offrire sul campo. La carrozzeria rielaborata da Materazzi fu inviata per le modifiche definitive alla Pininfarina in cui il capo del progetto, l’ing. Fioravanti, in collaborazione con Pietro Camardella scelse la soluzione del designer Aldo Brovarone che elaborò inedite soluzioni per muso e coda, uniche zone in cui si poteva effettivamente intervenire considerando che la vettura di base era già stata sviluppata. Della sua produzione si occupò la Carrozzeria Michelotto di Padova, il telaio fu costruito a Modena mentre il propulsore fu made in Maranello. In quel periodo Enzo Ferrari teneva a questa nuova vettura più di ogni altra cosa per cui, temendo di non riuscire a vederla, forzò parecchio i tempi di sviluppo. Così in grandissimo segreto e senza interferenza alcuna in soli 13 mesi l’F40 fu ultimata. Il nome lo scelse personalmente Enzo che colse un’idea avanzata dall’amico e giornalista Gino Rancati: F40 appunto, Ferrari e 40 come gli anni dell’Azienda. Inizialmente la vettura doveva essere svelata in anteprima assoluta al Salone di Francoforte il 24 settembre dell’87 ma Enzo Ferrari aveva troppa fretta di far conoscere al mondo la nuova creatura ma soprattutto voleva farlo di persona. Non si aspettò dunque fino a settembre: il 21 luglio del 1987 presso il Centro Civico di Maranello, dove oggi sorge il Museo, Enzo Ferrari, Nicola Materazzi e Leonardo Fioravanti dinnanzi a stampa ed addetti ai lavori tolsero finalmente il velo alla Ferrari F40. E finimondo fu. Dopo qualche secondo di brusii si levarono dai presenti commenti ed esulti. La linea realizzata unicamente per soddisfare le esigenze aerodinamiche alla vista sprigionava grinta da ogni angolo ed incuteva timore. Il muso affilato, le feritoie a sbalzo a ridosso delle porte, gli innumerevoli sfoghi, le prese d’aria di cui 6 NACA, il propulsore longitudinale in bella vista sotto il lunotto in lexan, i 3 scarichi centrali e l’inedita soluzione dell’alettone posteriore incernierato ai lati che creava un tutt’uno con la coda lasciarono i presenti ammaliati e stupefatti. I dati tecnici impressionarono altrettanto: il motore V8 coadiuvato da 2 turbocompressori sviluppava 478 cv che abbinati ad un peso di appena 1093 kg spingevano l’F40 a 324 km/h facendola diventare di fatto la vettura stradale più veloce del pianeta. La ricerca per l’aerodinamica fu esasperata al pari di quella per la riduzione del peso. La verniciatura era molto leggera, non esistevano servosterzo e servofreno, perfino i finestrini erano fissi in plexiglas e per aprire le porte dall’interno bisognava tirare una cordina, niente maniglie. L’unico lusso concesso era il climatizzatore. In realtà più che un lusso era una necessità per contrastare l’elevato calore generato dal V8.

 L’indomani della presentazione la stampa e gli appassionati erano in delirio, ma si presentò subito un problema. In riferimento al nome, Enzo Ferrari annunciò una produzione totale di 400 vetture ma negli uffici vendita di Maranello le richieste per l’F40 erano gia oltre 900. Enzo decise quindi di privilegiare le richieste dei clienti che avevano acquistato 3 anni prima la 288 GTO in quanto la F40 rappresentava la relativa evoluzione. I restanti esemplari furono invece riservati a clienti più assidui. Con una richiesta così alta ed una produzione così limitata si verificarono i fenomeni di cessione contrattuale o di rivendita immediata. L’edonistico mondo dei facoltosi appassionati di fine anni 80 aveva dato folli segnali di desiderio verso la F40 il cui prezzo di listino di 374 milioni di lire con le rivendite aveva toccato cifre nell’ordine del miliardo e mezzo. La produzione si avviò regolarmente, l’unico optional disponibile era il cambio ad innesti frontali realizzato a suo tempo per la GTO Evoluzione. Terminate le 400 unità le richieste continuavano numerose ed incessanti e le speculazioni sulle rivendite non accennavano a diminuire, in alcuni casi si toccarono i 2 miliardi di lire. Per questi motivi dopo svariate valutazioni in Ferrari decisero di continuarne la produzione. Nell’89 partì così la seconda fase produttiva in cui furono introdotte anche alcune modifiche. Vennero applicati più strati di vernice al fine di occultare la trama del kevlar e furono utilizzati finestrini tradizionali in vetro con manovella. Con queste modifiche il peso crebbe a 1100 kg. In opzione venivano proposti turbo maggiorati e alberi a camme più leggeri oltre al cambio ad innesti frontali, tutte soluzioni dedicate a chi dell’F40 voleva farne un uso agonistico. Grazie all’ausilio di questi accessori accompagnati da modifiche aerodinamiche alcuni esemplari furono impiegati nelle corse dando vita così alle versioni Competizione, GTE ed LM. Il 27 febbraio del 1990 le modifiche strutturali progettate da Leonardo Fioravanti diedero finalmente i frutti desiderati: l’F40 ottenne l’omologazione per il mercato statunitense, fino a quel momento categoricamente negata a causa delle severissime norme su sicurezza ed emissioni. L’omologazione USA inoltre permise alla Ferrari di rispettare gli accordi contrattuali con l’importatore americano al quale andava garantito circa il 22% della produzione di ogni singolo modello, così 213 vetture furono allestite ed inviate oltre oceano. La F40 “americana” si differenziava a livello estetico da quella per il resto del mondo per la presenza di un baffo protettivo anteriore, di sottili paraurti, di luci di ingombro laterali e della terza luce di stop. Strutturalmente invece erano presenti rinforzi nel sottoscocca, barre anti intrusione nelle porte ed un nuovo serbatoio in alluminio che stranamente rinunciava alle spugne ignifughe. Cinture di sicurezza automatiche, isolamento del propulsore ed un sofisticato catalizzatore con relativo sistema di raffreddamento completavano il quadro delle modifiche. Con questi accorgimenti il peso della F40 aumentò di 115 kg, così al fine di garantire le medesime prestazioni originarie i cavalli lievitarono a quota 515. Tutte queste modifiche unite alle spese di omologazione ed a quelle logistiche ebbero un notevole costo che incise pesantemente sul prezzo finale fissato in 415 mila dollari, cifra che comunque non preoccupò più di tanto la facoltosa clientela yankee. La produzione proseguì invariata fino al 1991 quando furono disponibili in opzione la marmitta catalitica e le sospensioni regolabili su 3 livelli. Tutte le F40 prodotte uscirono dagli stabilimenti nella classica tinta Rosso Corsa (gli esemplari di colore differente sono stati riverniciati post vendita) ed i sedili in tessuto tecnico anch’essi di colore rosso. Solamente due esemplari furono realizzati con il rivestimento dei sedili in colore nero, uno dei quali fu commissionato da Gianni Agnelli ed aveva la particolarità di essere dotato di frizione automatica Valeo e pomello del cambio in alluminio con forgiate le proprie iniziali. 8 esemplari invece vennero realizzati con 5 feritoie laterali anziché 4 e 20 sul lunotto al posto di 11: nate inizialmente come prototipi, servirono a testare diverse soluzioni per le vetture definitive. Esistono anche esemplari particolari, tutti modificati rigorosamente post produzione dai relativi proprietari, fra cui annoveriamo una versione barchetta a cielo aperto e 7 vetture con guida a destra. La produzione si concluse nel 1992 con un totale di 1337 esemplari. L’F40 fu anche l’ultimo modello che Enzo Ferrari vide realizzarsi e può essere definita la madrina delle hypercar stradali in quanto ha inaugurato questa ristrettissima nicchia di mercato. Ed ora, a distanza di 30 anni, come consideriamo questo Bolide? Noi della Scuderia siamo particolarmente legati a questo iconico modello che conosciamo piuttosto bene. Come dimenticare i favolosi festeggiamenti dei 30 anni, quelli del nostro sodalizio in questo caso, a Maranello in compagnia degli amici del Ferrari Club Espana? In quell’occasione con noi c’erano 2 F40 oltre ad altre affascinanti Rosse. Ad osservarla sembra decisamente più giovane per via delle sue linee aggressive ed originali. Esageratamente vistosa, nonostante i 4m e 36 di lunghezza e i quasi 2 di larghezza appare piccola se confrontata alle Ferrari attuali. Cattiva e minacciosa con una linea di cintura molto bassa vanta soluzioni che sono state riprese anche su altri modelli a distanza di anni. E’ il caso del motore in bella vista che con orgoglio mette in evidenza la raffinata meccanica, soluzione adottata in seguito sulla gran parte dei modelli con propulsore posteriore. Oppure la grossa ala di coda inglobata ai lati che caratterizzava la F50, sua erede. Anche i tre scarichi centrali adottati dalla 458 Italia del 2009 sono un chiaro omaggio alla gloriosa F40. La realizzazione di elementi in materiali compositi, tecnica di cui l’F40 fu pioniera, è utilizzata ancora oggi e l’impiego dei turbo nei motori V8, scelta pensionata con la fine della produzione nel 92, è tornata in voga dal 2014, a distanza di 27 anni, equipaggiando la California T. Per entrare in abitacolo si deve scavalcare il fianchetto del bacino per poi acquattarsi rasoterra (è alta 112cm) in un ambiente spartano poggiando su rigidissimi sedili. E’ portandola a spasso invece che emerge ciò che è in realtà: una rabbiosa vettura da competizione d’altri tempi. Disassata per via dei passaruota a ridosso dell’abitacolo richiede un certo sforzo per i comandi e aumentando l’andatura notevole impegno e molta attenzione. Il peso piuma accoppiato a un passo ridotto ed una coppia brutale invitano a parecchia cautela: è un mezzo meccanico impetuoso e puro che può essere gestito unicamente dal guidatore senza alcun aiuto elettronico, qui non si scherza. Sebbene le prestazioni siano superlative (0/100 in 4,1 sec, 0/200 in 11,3 sec e oltre 324 km/h) non sono sui livelli di quelle delle attuali hypercar ma le sensazioni che regala a pelle sono decisamente più violente di quelle che trasmettono le vetture odierne. La totale assenza di isolamento fa si che il rombo sia dentro gli occupanti insieme all’elevato calore sprigionato dal V8 ed i soffi del turbo sono sempre decisi ed accompagnati dalle sonore cannonate dello scarico. Un assetto che definire granitico può sembrare riduttivo ed una reattività impressionante fanno sentire gli occupanti direttamente in simbiosi con la meccanica e con la strada. E’ una macchina senza filtri dalla natura rude, che non perdona e non conosce le buone maniere. Fa venir la pelle d’oca, fa crescere l’adrenalina e fa sudare. E per noi, cronici romantici, tutto ciò è squisitamente emozionante. Anche troppo. Happy Birthday F40!

Flavio Paina